CHE COS’È LA LIBERTÀ?

Come feto non sono libero, sono chiuso dentro una placenta e collegato a un cordone ombelicale. Dipendo da mammà, da quello che fa, da quello che mangia; certo che se fumasse un po’ di meno!

Poi esco, mi tagliano il cordone, mi prende il panico, tiro un urlo da far ricrescere i capelli all’ostetrico:

“Mi stanno uccidendo! Aiuto!”.

No. Pian piano mi accorgo che posso vivere anche senza il cordone. Me l’ha provato l’urlo. C’è questa cosa che non vedo e mi scende giù e poi io ributto fuori subito dopo. L’aria. Sembra facile.

Quindi sono libero?

No, anzi, le mie limitazioni si sono ramificate.

Ora, oltre a dipendere da mammà (anche se dall’esterno), una simpatica infermiera ha scritto su un pezzo di carta che sono nato. E che sono nato in questo paese, in questo giorno e a quest’ora. Mi hanno fatto un bel certificato di nascita. Da ora sono cittadino di questo paese. Ho diritti e doveri. I diritti sono ciò che POSSO fare e i doveri sono ciò che DEVO fare. Ovvero per il solo fatto di essere nato ho già degli obblighi. Bè, non subito, prima devo appiccicarmi al seno di mammà. Perché se non mangio muoio, se non respiro muoio, se non bevo muoio e anche se non dormo, muoio. No, di libertà proprio non se ne parla.

Fra qualche anno i diritti e i doveri verranno a trovarmi e mi diranno più o meno così:

“Tu stai dentro questa bella campana di vetro (o brutta capanna di bambù a seconda di dove si nasce) e io (STATO/NAZIONE) ti tolgo un po’ (un bel po’ a seconda di dove si nasce) della tua libertà a cambio di protezione e sicurezza. È il protection pack, o contratto sociale. Io ancora non lo so perché sono piccolo e si occupa di tutto mammà, però mi hanno appioppato sto protection pack alla nascita e non me lo scrollerò più di dosso.

Sulla sua effettiva utilità vi sono pareri discordanti.

Un certo Hobbes sostiene che il protection pack è necessario perché noi nasciamo cattivissimi e selvaggissimi e ci scanneremmo a vicenda come bestie se non ce l’avessimo e sarebbe un inferno. (A me comunque non sembra che le bestie si scannino indiscriminatamente, ma questa è un’altra questione).

Un certo Rousseau invece dice che noi nasciamo buonissimi, ma diventiamo cattivissimi e selvaggissimi proprio a causa del protection pack, creato dai pochi che detengono il potere per difendere la (loro) proprietà privata ed imponendosi a chi non ce l’ha, limitando le loro libertà e creando disuguaglianze. L’uomo nasce libero, dice Rousseau, ma ovunque vive incatenato.

Ora, chi abbia ragione fra i due io non so, forse entrambi.

Fatto sta che non sono libero.

Non sono libero perché non posso uscire di casa senza documenti, non posso uscire dal paese senza passaporto, non posso vivere su una montagna, costruirmi una casa coi tronchi d’albero e bagnarmi nel fiume, perché dovrei essere prima proprietario della montagna, dei tronchi e del fiume. Ma anche se mi fosse permesso (con il rispettivo permesso) di vivere su una montagna, non sarei comunque libero, perché avrei bisogno di aria e di cibo e di sonno. E ne ho bisogno tutti i giorni, guai a sgarrare. E non sono libero perché d’inverno soffro il freddo e ho bisogno di coprirmi e d’estate soffro il caldo e ho bisogno di ombra.

Non sono libero perché osservo un sistema che non funziona e malgrado abbia delle idee per farlo andare meglio, non ho alcun accesso alla sua amministrazione. Non scelgo dove nascere, non scelgo le regole del gioco, non scelgo chi fa le regole, però sono costretto a giocarci. E a quelli che dicono: bombardiamo a manetta per difendere la libertà io gli sputerei in un occhio e girerei il cannone dalla loro parte. Vediamo quanto si sentono liberi ora.

Non sono libero nemmeno da me stesso, perché la mia mente crea paure che mi fanno comportare come la pecora del grande gregge globale, guidata da un pastore pazzo. E anche quando le pecore sembrano ribellarsi, non lo fanno per se stesse, ma per seguire un altro pastore pazzo che gli ha promesso un prato più rigoglioso e fresco. Paradiso? Helloooo!!!

Non sono libero nemmeno nell’amore, perché che ne so io dell’amore? Conosco quella bramosia che mi rende schiavo, dipendente da un sorriso, una telefonata, un messaggio. E mi manca l’aria quando mi vengono negati. Io non so amare perché il mio amore è una tossicodipendenza, la schiavitù delle schiavitù.

E allora che cos’è la libertà di cui tutti parlano e di cui tutti sembrano essere così sicuri?

Forse se amassi veramente potrei dare un senso, avere una minima coscienza del significato di questa parola. Ma che significa amare veramente? (questa è un’altra questione scottante).

personal-freedom

Forse la libertà consiste nel rendersi conto che non esiste e che bisogna procedere con molta ma molta cautela. E che ogni scelta necessita di un gran senso di responsabilità, perché ognuno di noi dipende da tutto il resto. Siamo legati, apparteniamo gli uni agli altri e non solo in rapporto a noi, ma anche rispetto agli animali, le piante, le stelle, i pianeti, i gas, gli oceani e quant’altro. E non solo ora, ma anche attraverso il tempo. Il libero arbitrio non riguarda noi come singoli, ma noi in rapporto a tutto l’universo. Per quello, l’immagine che ho della libertà non è tanto quella dell’essere umano in mezzo alla natura, stagliato contro il cielo, in direzione del sole e con le braccia aperte per abbracciare il mondo, che è tanto presente nell’immaginario collettivo (digitare “freedom” su google per averne una riprova). No, la mia immagine è piuttosto quella di un equilibrista che regge un vassoio pieno di bicchieri di cristallo sulla testa. La sua attenzione e la sua concentrazione devono essere constanti e per quello ci vuole molta pazienza e consapevolezza.

E invece a me sembra di camminare a piedi nudi su un pavimento di bicchieri in frantumi.

Ecco, se amassi veramente capirei questo.

Ma per ora no, ancora non so cosa significhi libertà.

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